Paolo Orlando
L'Archeologia e l'Ingegneria moderna per il Porto di Ostia


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     Nel 1922 era già eseguito il grosso lavoro di preparazione del piano in cui dovevasi scavare il bacino interno e si dovevano iniziare le opere marittime. Ma le pericolanti condizioni politiche ed economiche del paese erano andate rapidamente aggravandosi sino a giungere alla crisi risanatrice, fervidamente auspicata e voluta da ogni cuore sinceramente italiano. Le inesauribili forze interne della nostra razza si manifestarono potenti nella reazione salvatrice da cui emerse l'uomo che il destino portò a Roma il 28 ottobre di quell'anno, ad assumere con piena consapevolezza con risoluta volontà e con genio universale il governo d'Italia.
     Le condizioni assai precarie del bilancio statale e gli sproporzionati impegni che su di esso erano stati presi, obbligarono il Governo nazionale a sospendere la esecuzione di tutte le opere dichiarate dilazionabili; fra queste il porto di Roma.
     Sono da allora passati quattro anni, lunghissimi per chi attende, ma alfine il tempo ha resa giustizia a chi non tradì la fede. Il Governo Nazionale ha con segni evidenti riconosciuta la fatale necessità per l'Italia di restituire alla propria Capitale l'antico porto, che fu ragione e base dell'assurgere della ricchezza e della fortuna politica della Repubblica e dell'Impero.
     Gli italiani devono persuadersi che la costruzione del porto di Roma non è solo interessantissima questione di ingegneria marittima, tendente colla sua pratica risoluzione a modernizzare il sistema commerciale, industriale ed agricolo della Capitale e del suo ampio retroterra. La costruzione del porto di Roma assurge piuttosto a questione di altissima politica nazionale, in relazione ai rapporti che noi dobbiamo intensificare con tutti i popoli ed in relazione a quella maggiore influenza che per dovere ereditario su di essi dobbiamo volere conquistare.