Paolo Orlando
L'Archeologia e l'Ingegneria moderna per il Porto di Ostia


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     Distrutta l'Austria e resi persuasi i minori antagonisti, l'Italia, dopo la vittoria delle armi ed il suo riassetto interno, ha acquistato migliore e maggior posto in Mediterraneo e, per naturale conseguenza, si è pure allargata nei mari più aperti e lontani. Ma, per riescire definitivamente vittoriosa sulla mal conchiusa pace di Versailles, essa ha da assolvere, davanti a Dio e davanti agli uomini, il dovere di riprendere interamente e validamente il posto che natura le ha dato nel mare latino. Sul fatalissimo Mediterraneo la vita pulsa oggi più che mai prepotente lungo le scie perenni delle navi che mantengono i rapporti tra gli uomini degli estremi paesi d'occidente con quelli d'oriente, e su di esso la fatidica prora d'Italia, guidata da imperturbabile nocchiero dalla vista limpida e lunga e dalla mano tenace, va ritrovando le antiche sue vie.
     Noi viviamo nel momento di psicologia collettiva più adatto a compiere le opere grandi di rinnovamento politico ed economico imposte dal risveglio della coscienza nazionale e dalla indagine particolare dei problemi confermati dalla guerra.
     Quale opera rianimatrice, più bella e più utile che riaccendere sul mare latino l'antico faro di Roma? Far risorgere sulle acque del Tirreno il porto mondiale dell'antichità è grandioso proposito a cui sembra fornir le ali l'immaginazione di un poeta. Esso invece deriva semplice e spontaneo dalla fredda meditazione della geografia e della storia, e si fonda sulle matematiche deduzioni della ingegneria moderna. Tanto vero che è già in atto da tempo e procede nelle sue tappe con inflessibile volere, superando ogni ostacolo per tradurre in realtà ciò che fu ritenuto sogno audace di esaltato cervello.