Carlo Piola Caselli
La corazzata Avérof varata a Livorno


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La solennità dell'allestimento del varo

     Secondo il calendario gregoriano oggi è sabato, 12 marzo 1910. E' finalmente arrivato il giorno tanto atteso, dalla popolazione, dagli operai, dalle maestranze, dai proprietari del cantiere e dai loro tecnici, dalle autorità cittadine, nazionali e internazionali, dalla stampa italiana ed estera accreditata.
     La descrizione dell'avvenimento che ne fa la Gazzetta Livornese del 12- 13 marzo è talmente dettagliata, che ci fa rivivere quelle ore persino nei rumori, nei suoni, nelle voci che si propagano nell'aria.
     La scena è questa: poco prima delle 10, anziché alzarsi il sipario, si aprono le grandi porte, di piazza Mazzini, dalle quali passano quotidianamente gli operai, ed incominciano ad entrare i numerosissimi invitati, che accedono anche da piazza Luigi Orlando
     Appena entrati nell'area del cantiere, si rimane colpiti dal fervore di un'operosità intensa, febbrile, fra l'ansare delle macchine, i fischi striduli delle sirene, i colpi secchi e continui dei martelli. Questo non è l'arsenale di Venezia, descritto da Dante nell'Inferno, con i diavoletti che celiano con la pece, qui “si forgiano il ferro e l'acciaio per la costruzione di mostruosi e possenti ordigni di guerra” ma, salvo questi suoni, sicuramente più freddi di quelli danteschi, vi è misto nell'aria un silenzio misterioso pieno di trepida attesa. (49)
     Tutti, chi più chi meno, sono pervasi da un'ansia viva, un misto di timore e di audacia, entrati nel “DNA” quasi di ognuno. Nel contempo quasi tutti son presi da un “sentimento profondo di raccoglimento quasi religioso: tra poco si dovrà infatti celebrare un rito sacro e solenne: … un'altra vittoria del lavoro e dell'ingegno italiano, del lavoro e dell'ingegno livornese”. Omero avrebbe messo in scena la fucina di Vulcano.

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(49) Gazzetta Livornese, 12-13 marzo 1910, Il varo dell'incrociatore ellenico “Gieogios Avérof”, paragrafo Nel Cantiere Orlando.